Presentazione

NOTA BENE: Faccio presente a chi entrasse in questo sito che i contenuti sono in via di perfezionamento e di completamento. E’ anche per questo motivo che, almeno per il momento, ho scelto la pubblicazione sul web, invece del cartaceo tradizionale.

DIZIONARIO DEL DIALETTO LADINO DI CAMPOLONGO DI CADORE

“Ancora un dizionario?”
La domanda è ovvia, vista la presenza in Comelico di alcune pubblicazioni riguardanti le varie forme di ladino che ritroviamo nei singoli paesi.
La risposta è altrettanto ovvia, ed è: “sì”; prova evidente, il sito che state visitando.
I motivi sono molteplici. Prima di tutto metterei il desiderio personale di “dare un volto” ad un lavoro iniziato circa 45 anni fa, dapprima per curiosità e quasi per scherzo, poi, via via, con sempre maggior interesse verso i fatti linguistici (parole che non si sentivano più, modi di dire desueti), e proseguito quindi con la comparazione sistematica con il vocabolario italiano, l’analisi attenta del dizionario di Comelico Superiore nella prima “fatica” della Maestra Èlia De Lorenzo (Dizionario del dialetto ladino di Comelico Superiore, Tamari Editori, Bologna 1977) e poi nella versione del Gruppo Ricerche Culturali (“Il ladino di Comelico Superiore”, 2008); il confronto con il testo del 1982 “Didös i nos véces – modi di dire della parlata di Costalta di Comelico”, a cura del Gruppo da Postàuta a Gió Auto; il riscontro con il materiale del museo etnografico di Padola e del Museo “Algudnèi” di Dosoledo; la collaborazione con varie persone del paese, prime fra tutte le sorelle Giovannina (*) e Marina Marta (a quest’ultima, scomparsa a marzo 2013, va un affettuoso ricordo), ed altri esperti di specifici settori.
Non voglio definire questo mio lavoro “scientifico”, rischiando gli anatemi degli addetti ai lavori. Mi piace chiamarlo “foto”, un’istantanea del dialetto di Campolongo in questo scorcio di tempo, dagli anni 1970 ad oggi, fra l’abbandono di molte attività artigianali, con la conseguente perdita del relativo bagaglio lessicale, e la “modernità”, che ha portato ad usare vocaboli che non esistevano in precedenza e che sono entrati a pieno titolo nel linguaggio quotidiano, siano essi di derivazione italiana o di altra lingua.
Il mondo evolve e non c’è da stupirsi che il modo di parlare segua. E’ difficile, per non dire impossibile, segnare una linea di demarcazione fra quello che “era” il dialetto, legato ad uno schema di vita che va scomparendo, e quello che “è”.
Ad essere pignoli, già sarebbe improprio chiamare stùa il salotto-soggiorno di casa, anche se ha la stessa funzione di una volta, cioè luogo ove riposarsi dopo il lavoro o ritrovarsi la sera a chiacchierare. La stùa aveva il fórno per scaldare la stanza, ma vi si cuoceva anche il pane, il sorafórno (dove andare a “scaldarsi le ossa”, come si diceva un tempo), la panca tutt’attorno; oggi con la stube non è la stessa cosa, e poi ci sono tanti altri mobili, i soprammobili, la TV, l’impianto stereo e il computer. Non possiamo chiamare chigadòi il bagno attuale: il termine definiva il luogo in cui venivano espletate unicamente le funzioni corporali. Adesso “bagno” sta ad indicare tutta una serie di servizi, che esulano dal significato primario. E così via.
Può darsi che certe parole non compaiano perché non c’è stata l’occasione per sentirle nominare o perché dimenticate dalla “memoria collettiva”.
Mi piace paragonare questa mia “fatica” ad un’immagine presa con la macchina fotografica digitale, che, usando adeguatamente la tecnologia attuale, permette di tagliare, correggere, rifare, a seconda delle esigenze: è possibile aggiornare il dizionario, aggiungendo quello che manca e arricchendolo con contributi nuovi. È anche per questo motivo che ho scelto il web: chiunque lo desideri, potrà dare il suo apporto in correzioni, integrazioni, suggerimenti.
Una precisazione: non ho inserito i vocaboli più diffusi, legati alla tecnologia (ad esempio: radio, tv, frigo, lavatrice…) o ad altri settori (industria, artigianato, scuola…), se no rischiavo di fare un dizionario “italiano-italiano”. Trovano spazio, invece, le parole legate alle strutture sociali, alla politica, ai rappresentanti dell’ordine pubblico, ai militari, al mondo del diritto, alla religione, che hanno una chiara derivazione dall’italiano, ma sono presenti nel dialetto da un bel po’ di tempo: alcune sono storpiate rispetto all’originale (ad esempio: sìndico e no sindaco, inbolànza e no ambulanza, lusiér e no usciere ecc.); forse i nostri vecchi avevano voluto “personalizzarle”. Per non dire di molti vocaboli, retaggio di altre lingue europee (es.: andèn, borò, disné, patuà – francese; ghéitar, pàuro, rocsoch – tedesco; copìn – spagnolo) o degli influssi della vicina Carnia (es.: a vònda) e, naturalmente, del Veneto (ciacolà, òcio!, tosàt…).
Fra le curiosità, vorrei far notare anche le differenze che si notano nell’uso di certi vocaboli, a seconda di chi parla o comunque di chi mantiene ancora la forma antica : ciatà/cetà, fonéstra/finéstra, rbandonà/ribandonà, rvé/rivé, tgni/tignì ecc. Qui entra in gioco sicuramente il modo in cui viene utilizzato, e quindi tramandato, un certo vocabolo in famiglia; un altro fattore può essere l’influenza dovuta alla parlata dei paesi vicini. Il tutto sta a dimostrare, comunque, che il parlato è una somma di fatti linguistici individuali e torna difficile, se non impossibile, dare una forma univoca per tutti i vocaboli. Come avviene per ogni lingua nazionale, il “dizionario” cerca di normalizzare il tutto, ma non sempre ci riesce!

Campolongo, ottobre 2015

Adriano De Zolt

Le foto sono di Lorenzo Coluzzi (lc), Meri Mina (mm) e mie (adz). In altre foto è riportato l’autore.
Parte del materiale fotografato si trova presso il Museo Etnografico di Padola (MEP) oppure è di proprietà di Gilberto De Martin (GDM) di Padola.
Le definizioni di alcuni termini, prese dal “Dizionario del dialetto ladino di Comelico Superiore” di Elia De Lorenzo Tobolo, Tamari Editori in Bologna, 1977, sono così citate: (D.L.); quelle prese da “Il ladino di Comelico Superiore”, 2008: (L.C.S.).

Per suggerimenti, integrazioni, correzioni: utilizzare il link “contatto e-mail”.

(*) Aggiornamento 26.04.16: anche Giovannina Marta è deceduta il 2 aprile 2016.